Sono Bianca Ansaldi, ho 47 anni, abito a Milano e lavoro in una multinazionale.
Nove anni fa mi sono trasferita in Toscana dove ho svolto un'attività prevalentemente esterna che mi ha occupato molto, sia in termini di tempo che di impegno. Un periodo di adattamento molto faticoso in una città diversa, con un lavoro nuovo, impegni diversi su tutti i fronti. Ed è proprio in quel periodo della mia vita, nel quale avrei avuto bisogno di tutte le mie forze, che ho cominciato ad avvertire i primi sintomi.
Ho iniziato, come la maggior parte dei pazienti, ad avvertire una pesantezza alle palpebre ed un fastidio alla luce, unito anche ad un bruciore degli occhi verso sera ed in particolar modo quando guidavo. Dapprima ho sottovalutato il problema, attribuendolo essenzialmente al periodo di stress che stavo attraversando.
Dopo circa un anno, mi sono recata da un oculista di Firenze per chiedere se il disturbo fosse attribuibile al fatto che non riuscivo a leggere bene da vicino. Mi sono stati prescritti degli occhiali da vista ma, purtroppo, il problema non si è risolto. In seguito mi sono rivolta a diversi altri oculisti, sia a Firenze che a Milano, ottenendo le diagnosi delle più disparate: dall'allergia al fumo allo stress psico-fisico; purtroppo i risultati non sono stati dei migliori. Infine ho chiesto consiglio a mia nipote, ortottista, la quale, dopo un'accurata visita, mi ha indirizzato ad un neurologo del Besta, che per primo ha iniziato a parlarmi di questa malattia. In seguito a vari accertamenti, mi è stato proposto di iniziare subito il trattamento di tossina botulinica presso lo stesso istituto.
Nel frattempo il mio problema andava peggiorando, la guida diventava sempre più problematica, lo spostamento da una città all'altra richiedeva tempi sempre più lunghi, perché ero costretta a fermarmi spesso. La difficoltà maggiore però era riuscire a tenere gli occhi aperti durante qualsiasi trattativa di lavoro.
Sulle prime non ero costante nel trattamento della tossina, perché avevo un lavoro che mi impegnava molto e, soprattutto, per sottopormi ai trattamenti dovevo recarmi a Milano. Inoltre non riuscivo a trarre grossi benefici dalle infiltrazioni. Ero molto delusa perché speravo in una guarigione miracolosa.
Nel frattempo, tramite Internet, leggevo tutto quello che potevo sulla malattia: il sito dell'A.R.D. è stato per me una guida preziosa. Per tre anni sono riuscita a gestire questa situazione, utilizzando dove potevo la mano destra per alzarmi il sopracciglio. Alla fine ho dovuto fare una scelta: sono stata costretta a richiedere il trasferimento a Milano, ad un lavoro prevalentemente d'ufficio.
Per quanto riguarda la malattia, devo dire di essere stata fortunata: il mio handicap non è particolarmente grave, ma c'è un lato della malattia che fa più male dello sforzo di tenere aperti gli occhi, ed è quello psicologico. Mentre si riesce a gestire i vari problemi quotidiani come guardare la televisione, leggere un libro, guidare la macchina, andare al supermercato, che sono le attività pratiche più difficili da svolgere, quello che più ferisce sono i commenti e i giudizi delle persone che ci circondano. Purtroppo dopo il mio rientro a Milano ho dovuto subire, nell'ambito professionale, i giudizi delle persone con cui entravo in rapporto; l'essere perfetti e super efficienti è diventato un dogma, l'ignoranza è superiore alla capacità di comprensione, e chi ha un handicap, seppur lieve, viene scartato indipendentemente dai risultati che ottiene. E' stato l'anno più difficile, anche perché la gente intorno a te ritiene questa malattia una forma mentale da curare dallo psichiatra, giudizio dettato dal fatto che per poter tenere gli occhi aperti si acquisiscono movenze e posture particolari.
Per superare tutto questo mi sono rivolta ad uno psicologo; sono stata in analisi un anno e i risultati che ne sono seguiti mi portano oggi a dire che sono riuscita a trovare la mia serenità. La malattia mi ha insegnato a modificare le priorità nella mia vita: il lavoro viene vissuto come un impegno serio ma circoscritto nel giusto tempo; ho imparato a dare molto più spazio alla mia famiglia, agli amici e agli hobby. Ho ricominciato il trattamento con la tossina, questa volta in modo costante e, chiaramente, con le dosi giuste e nei punti esatti, ho avuto un miglioramento; quanto meno riesco per quasi tre mesi a condurre una vita normale.
Ciò non significa che le mie piccole crisi siano superate: purtroppo vivo ancora momenti difficili quando si affievolisce l'effetto della tossina. Tuttavia, paragonandomi ai casi di persone che incontro in ospedale, mi ritengo una persona fortunata. E sono fortunata soprattutto perché ho trovato in ospedale un medico che, oltre a iniettarmi la tossina riesce, con un sorriso, a donarmi la serenità necessaria per accettare questo handicap; un medico che ascolta, comprende e risponde alle mille domande che ogni volta si ripresentano puntuali e che possono essere sintetizzate in: "quando guarirò?"
Ho avuto la fortuna di essere invitata ad un incontro con diversi medici e pazienti sulla distonia, ho sentito le loro esperienze e ho visto l'impegno che i medici dedicano alla ricerca; tutto questo mi porta a sperare che un giorno avrò anch'io il mio "miracolo", con la giusta consapevolezza comunque che oggi, con una vita tranquilla e serena sono una persona "normale" che ogni tanto deve fare un pochino di fatica per tenere gli occhi aperti.
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