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Testimonianze

Malati, familiari, amici, medici raccontano la loro storia personale o la loro esperienza.

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Cinzia Ceccanti

Avrete notato che gli interventi tenuti fin d'ora riguardano aspetti patologici, genetici, aggiornamenti, impieghi... Contengono parole spesso incomprensibili se non con un minimo livello di conoscenze nell'ambito. Io non sono un medico, ma sto dall'altra parte: quella per cui questo stesso convegno oggi esiste.

Ricerche e studi sono rivolti alle persone che come me hanno vissuto e vivono sulla propria pelle quotidiani disagi, che nella mente si trasformano in mille domande.

Nella mia esperienza, a partire dalla prima età infantile, l'urgenza di risposte da parte dei "signori in bianco", come chiamavo i medici da bambina, è stato il disagio in cui mi sono maggiormente imbattuta.

Non è stato facile perché i disturbi sono cresciuti con me; appena mi abituavo ad uno, si fa per dire, ne spuntavano altri e poi un giorno non era mai uguale a quello dopo. Impari a stare a guardare quel che succede, quasi come una lotteria, non sai mai come gira.

Un'imprevedibilità che ti costringe a stare attenta ad ogni possibile sensazione nuova, soprattutto se la persona è suscettibile e ansiosa.

Malattia ed equilibrio psicologico sembrano correlarsi reciprocamente tra loro. La sensibilità del malato gioca un ruolo primario, aggravando i sintomi.

Ricordo un episodio che a molti può far sorridere. Avevo dieci anni; arriva il giorno della foto di gruppo della V elementare che frequentavo. Tutti gli alunni ordinati, in giardino, pronti per l'atteso flash. Un movimento involontario del muscolo del collo fa ruotare la mia testa, per poi lasciarmi tranquilla dopo due secondi tornando nella posizione eretta. Un evento che per un attimo mi ha distolto dalla spensieratezza di quei momenti gioiosi.

Passati due anni i miei professori delle medie chiamarono a colloquio mia madre, pensavano che non ci vedessi alla lavagna. Gli occhi ci vedevano benissimo, era qualcos'altro che non potevo controllare.

Mi ripetevo: ora anche gli occhi, l'elenco continuava ad allungarsi.

Incomprensioni tra i compagni di scuola, visite, cure, ricoveri.

L'adolescenza passata a non capire perché il corpo si ribella.

Perché sentirsi diversa. Perché gli altri non capiscono. L'insicurezza. Il sostegno psicoterapeutico. Mille domande.

Le risposte da ricercare nella realtà, da un positivo che mi offriva la famiglia e la scuola, un indirizzo che avevo scelto io, andavo fiera di diventare disegnatrice stilista di moda. E dopo il diploma che cosa avrei fatto? Tutto il mondo là fuori mi spaventava, giudicavo tutti come dei mostri cattivi con me. Di lavorare non se ne parlava e poi sui libri tutto sommato, avevo imparato a starci e ad amare quel tempo in cui studiavo. Il rendimento scolastico migliorava. Continuava la voglia della strada creativa e mi sono messa in testa di frequentare l'Accademia di Belle Arti e quando mi intestardisco di una cosa ci vado a fondo, non mi piace mollare. Vengo ammessa ed in quel momento mi si apre davanti una nuova vita frenetica, fatta di mille cose da fare, ma anche e soprattutto di nuove amicizie che sostengono da quel giorno continuamente il mio cammino.

Contemporaneamente, stufa di farmaci che mi facevano sentire come una cavia, ho abbassato i dosaggi fino ad azzerarli. Vengo a conoscenza di un nuovo trattamento con un doppio nome un po' buffo, che viene iniettato direttamente nel muscolo che fa i capricci.

Stupirsi di un imprevisto quanto atteso assestamento, un equilibrio che mi permette di vivere come tutte le altre persone. Non lo chiamerei miracolo, ma quanto un insieme di circostanze, affiancate al bagaglio personale che è diverso per ognuno di noi, fatto di esperienze e situazioni. L'incontro con dei ragazzi che frequentano l'Università, il modo con cui loro mi hanno guardato fin dal primo giorno in cui mi hanno accolta per come sono fatta e non certo esteticamente. Sentirmi accettata, riconoscermi in qualcosa di grande, far parte di una storia nel movimento di Comunione e Liberazione.

Buttarmi a capofitto nella realtà è la circostanza che più mi fa' sentire viva ed utile, a me stessa ed agli altri.

Ho seguito per tre anni un bimbo portatore di handicap al servizio della ludoteca; dedicargli un po' del mio tempo, dispiacermi ogni volta che dovevo lasciarlo, mi ha fatto rendere conto di quanto ero importante per lui soltanto facendogli compagnia. Il ricordo più bello è quando mi sorrideva.

Vengo a conoscenza della ARD, Associazione Italiana per la Ricerca sulla Distonia - Delegazione Toscana, ed incuriosita, ne divento socia. Riconosco le mie esperienze in altre persone e guardando loro mi rendo conto della grazia che mi è stata regalata; un mio amico mi ha chiarito che la Cinzia di adesso non sarebbe così se la sua vita non avesse incluso un periodo non troppo felice; i miei ricordi, quelle persone, li avrei odiati, invece con quella frase ho imparato ad amare anche quei volti e quegli interminabili giorni.

Solo con questa serenità nel cuore posso rivivere quelle circostanze negli occhi di un altro.

Qui mi preme sottolineare l'importanza dell'assistenza data dalla ARD, al sostegno che cerchiamo di dare per contribuire alla diffusione delle conoscenze adatte al paziente ed a chi vive con lui.

Infatti la mancanza di informazioni su questa specifica malattia ritarda diagnosi e tempestive cure. E' una lotta che noi ci sentiamo chiamati a fare, perché crediamo di poter essere utili nel nostro non facile operato. Una proposta di amicizia attenta nel sostenere chiunque ci chieda consigli.

Adesso mi trovo nel Consiglio della Delegazione Toscana dell'Associazione, stupita del fatto che io non ho fatto altro che vivere quello che ogni giorno sono chiamata a fare.

Sono felice che la mia vita possa rendere testimonianza.

Ringrazio le persone qui presenti, di cui la maggior parte ha accompagnato la crescita del mio cammino.


Cinzia Ceccanti
Firenze, giugno 1999
Pagina aggiornata il 2 Maggio 2001


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