A.R.D. Associazione Italiana per la Ricerca sulla Distonia
Cerca con Google: in ARD  nel Web 

Testimonianze

Malati, familiari, amici, medici raccontano la loro storia personale o la loro esperienza.

Vai all'indice delle testimonianze

Anna Moiana

Mi chiamo Anna Moiana, ho 46 anni, una laurea in lingue, un lavoro come coordinatrice del settore gruppi e congressi in un albergo a 5 stelle sul lago di Como.

Esattamente un anno fa, il 29 maggio 1998, iniziarono per me i primi sintomi del blefarospasmo, una malattia di cui fino ad allora avevo felicemente ignorato l'esistenza.

Quella mattina, mentre guidavo, notai delle difficoltà a mantenere gli occhi aperti. Ne attribuii la causa alla forte luce: sono sempre stata fotofobica, il classico tipo che gira con gli occhiali da sole anche quando il cielo è coperto.
Siccome le difficoltà si protrassero per qualche giorno ed anche stando in casa chiudevo le palpebre continuamente, fissai un appuntamento con il mio oculista.
All'inizio si pensò ad un eccesso di stanchezza - per me era un periodo di grande lavoro - ma dato che la cosa non si risolveva l'oculista mi mandò da un neurologo con sospetta diagnosi di blefarospasmo essenziale.

Nel giro di poche settimane dall'insorgere dei sintomi tale diagnosi fu confermata dal neurologo. Un tentativo con un farmaco portò breve sollievo - tra l'altro allora i sintomi non erano costanti, si ripresentavano a volte a distanza di giorni - ma ben presto il disturbo peggiorò ed all'inizio di agosto mi trovai a dover lasciare il lavoro per qualche settimana perché non riuscivo a tenere aperti gli occhi più di due o tre secondi di seguito.

Subii le prime infiltrazioni di tossina botulinica il 18 agosto e da allora ho avuto quattro infiltrazioni, qualcuna meno efficace, qualcuna con risultati piuttosto soddisfacenti.

Nel frattempo feci ovviamente tutti gli esami possibili per escludere la presenza di altre patologie.

Ad ottobre, tramite amici che vivono in Olanda, seppi dell'esistenza di una fondazione con sede a Beaumont, in Texas, avente come scopo la diffusione della conoscenza su blefarospasmo e sindrome di Meige ed il finanziamento della ricerca su tali patologie.

Tramite il sito della BENIGN ESSENTIAL BLEPHAROSPASM RESEARCH FOUNDATION potei acquisire parecchie informazioni; dopo aver ricevuto gratuitamente un interessante fascicolo di benvenuto mi abbonai al loro bollettino e ordinai un libro che presentava i casi di parecchi pazienti e che mi aiutò a capire che la maggior parte dei miei problemi erano condivisi da tante persone.
La fondazione mantiene anche una specie di newsgroup, il "Bulletin Board", un sito dove i pazienti - blefros come ci si chiama tra noi - possono lasciare i loro messaggi, presentare le loro esperienze, chiedere consiglio ecc.
Questo mi permise di verificare con altre persone i miei sintomi e le situazioni in cui si manifestavano prevalentemente, trovando rassicurazione. Non mi sentivo più "strana" se in alcuni casi gli occhi erano aperti e cinque minuti dopo lottavo per mantenerli tali.
Talvolta ci si scambia consigli su farmaci od altre vie tentate per tenere sotto controllo i sintomi.

Devo dire che la fondazione, come succede per qualsiasi organismo di questo genere, non sostiene nessun tipo di trattamento ma li presenta tutti invitando a rivolgersi al proprio medico, in nessun modo incoraggiando l'automedicazione.

Personalmente confesso di averla tentata con il cerotto per la cinetosi, avendo appreso dell'esperienza di alcuni pazienti che l'avevano portato per anni conseguendo una riduzione dei sintomi ed in un caso la remissione ( o presunta tale, visto che per ora si tratta di un periodo di soli 3 anni). La scopolamina effettivamente mi portò sollievo più volte, quando la tossina stava terminando i suoi effetti positivi. Insistendo nell'uso però trovai che, a mano a mano che proseguivo, gli effetti collaterali tipici dei farmaci anticolinergici aumentavano e quelli positivi, pur ancora notevoli, diminuivano. Allo stato attuale, l'unico trattamento che mi viene praticato sono le infiltrazioni di tossina botulinica.

Dopo aver esposto i fatti, vorrei ora affrontare l'aspetto pratico e psicologico, ovvero come si vive con il blefarospasmo.

Devo dire che all'inizio non avevo preso troppo sul serio la malattia. Nei primi due mesi l'andamento dei sintomi era variabile ed io ero convinta che prima o poi sarebbero scomparsi. Spesso anzi ci scherzavo sopra, coi colleghi di lavoro, chiamavo il disturbo "i miei occhi ballerini". Fu solo dopo poco più di due mesi dall'insorgere dei primi sintomi, quando la situazione precipitò rapidamente, che mi resi conto che non ne sarei uscita tanto facilmente. Un pomeriggio, in ufficio, dopo aver tentato inutilmente di portare a termine un lavoro al computer lottando con le palpebre che si chiudevano ogni tre secondi, piansi di frustrazione e di rabbia sentendomi impotente davanti a quello che ancora mi ostinavo a ritenere "uno stupido disturbo".

Il blefarospasmo si insinua nelle nostre vite come un virus nel computer e ne scombina in qualche modo la trama. Alcuni di noi vengono colpiti in un periodo della vita in cui si è ancora relativamente giovani, nel pieno della propria attività lavorativa, della propria carriera, e sono costretti faticosamente a fare i conti con i limiti che la malattia impone, in un mondo in cui la parola d'ordine è l'efficienza a tutti i costi.
In un momento in cui si è ancora pieni di forze e si ha tanto da dare, è difficile accettare l'idea dell'handicap fisico come parte di sé.

Per chi è più in là con gli anni, penso che marchi pesantemente il senso del tempo che passa, l'avvicinarsi di un'età foriera di acciacchi.
E' vero che nella maggior parte dei casi non provoca dolore fisico, il che rappresenta già un notevole vantaggio, però riesce a rendere la vita più complicata.
Tutto quanto comporta l'atto di fissare, persone od oggetti, scatena gli spasmi. La lettura diviene difficoltosa, guidare spesso un incubo, guardare la televisione o andare al cinema estremamente faticoso nel migliore dei casi, a volte impossibile. Persino fare la spesa, entrare in un negozio o in un supermercato diventa problematico.

Nei periodi peggiori si deve smettere di lavorare, o addirittura si hanno difficoltà a camminare da soli per strada.
Inoltre gli occhi, oltre a svolgere la funzione visiva, rivestono un ruolo di primo piano nella comunicazione: attraverso lo sguardo ci poniamo in contatto profondo con gli altri, trasmettiamo i nostri sentimenti ed i nostri stati d'animo. Uno sguardo può essere più eloquente di mille parole.
Ne consegue che il paziente di BEB viene penalizzato doppiamente, oltre che nello svolgimento di alcune attività, anche nella vita di relazione. Sostenere una conversazione spesso ci mette a disagio, perché nel momento in cui fissiamo gli altri che parlano gli spasmi si fanno più frequenti.
Difficile affrontare incontri di lavoro in cui si debba trasmettere l'idea della nostra competenza e professionalità quando, mentre ascoltiamo, diamo l'impressione di essere nella migliore delle ipotesi assonnati o poco interessati o addirittura di avere dei problemi psicologici. Un paziente con BEB spesso non riesce a sostenere lo sguardo altrui e, se lo fa, non ha uno sguardo intelligente.
Allora ci si inventano dei trucchi, si parla a ruota libera perché quando parliamo, per la maggior parte di noi, gli spasmi si riducono, l'occhio rimane più aperto; ci si massaggia la tempia, o ci si nasconde dietro gli occhiali da sole (ma dopo essere stati paragonati ai Blues Brothers per la centesima volta, ci si incomincia ad innervosire...)
Lo stesso quando si guida: personalmente riesco a guidare per dieci, venti minuti al massimo. Quando l'effetto della tossina si riduce, continuo a guidare almeno per 5 minuti aiutandomi con trucchi come canticchiare, sbadigliare, borbottare. In passato, ci sono stati momenti in cui ho dovuto smettere del tutto.

Ma la difficoltà maggiore consiste nel fatto che la variabilità dei sintomi e la loro "stranezza" non ne facilitano certo la comprensione da parte degli altri.
Come spiegare loro che i nostri occhi non hanno nulla, ma che non riusciamo a vedere bene perché le continue contrazioni dei muscoli delle palpebre ci impediscono la visione?
"In un battito di ciglia", si dice di qualche cosa che avviene in modo tanto rapido che quasi non ci se ne accorge. Ma per noi non c'è battito di cui non siamo consci, è come se li contassimo ad uno ad uno. Inoltre proprio l'importanza della mimica facciale nella comunicazione fa sì che si possa dare l'impressione di avere problemi psicologici.

E allora è facile cedere alla tentazione di isolarsi, di fuggire le occasioni in cui si potrebbero incontrare molte persone, come al ristorante, mostre, eventi sociali in genere, per evitare di sentirsi a disagio, di dover dare delle spiegazioni che anche a noi suonano strane.
Per impedire che questo si verifichi, è necessario che si rafforzino le associazioni di pazienti per poter fornire il massimo sostegno psicologico, e che si porti il maggior numero di conoscenze a disposizione dei pazienti.
Ciò comporta ovviamente dei costi, e la conseguente necessità di reperire fondi. Non si tratta però di un ostacolo insormontabile, se ognuno di noi si impegna nel proprio piccolo. Nel mio ambiente di lavoro, grazie all'aiuto di una collega è stata organizzata una sottoscrizione che ha avuto un successo insperato. Inoltre personalmente mi sono impegnata a chiedere una donazione alla Società per cui lavoro, il che mi ha permesso di raccogliere in tutto due milioni e mezzo che metterò oggi a disposizione dell'ARD Lombardia.

Cito questo fatto semplicemente per sottolineare come, con un piccolo sforzo, si possa ottenere molto a beneficio di tutti noi pazienti.

Desidero ribadirlo ancora una volta, io sono fermamente convinta che la chiave di volta sia la comunicazione. Quando si conosce la malattia e si ha la possibilità di confrontare le proprie esperienze, i propri problemi con quelli degli altri, ci si sente meno sopraffatti. L'ho sperimentato per me stessa e lo sperimento ogni giorno, grazie ai contatti via Internet.
Certo, ho anch'io le mie crisi, ma riesco a superarle grazie al sostegno degli altri pazienti, oltre che di persone care e ripetendomi che in fondo c'è chi sta molto peggio di me.

Un altro punto cruciale è il rapporto con i medici. E' importante migliorare la comunicazione con loro, in una parola aiutarli ad aiutarci.
Ci sono tanti medici disponibili, e se non si incontrano al primo tentativo basta cercare.
E' importante spiegare quali sono le situazioni in cui gli spasmi si scatenano e quelle in cui sono sotto controllo. Non è facile per loro stabilire la gravità dei sintomi in una visita di pochi minuti; a volte mi sono sentita dire " Ma Lei ora non ha spasmi", semplicemente perché stavo rispondendo a delle domande e, come per la maggior parte dei pazienti, parlare mi riduce gli spasmi mentre ascoltare li peggiora.
Se riusciamo ad avere più confidenza con i nostri medici, a spiegare esattamente che cosa proviamo, potranno giudicare meglio la nostra condizione e l'effetto della tossina.

Devo però dire ad onore della classe medica italiana che mi sembra che da noi si sia abbastanza all'avanguardia perché personalmente ho avuto una diagnosi molto rapida, sia da parte dell'oculista che del neurologo.
Molti pazienti americani di cui ho letto le storie o con cui sono in contatto hanno dovuto vagare per anni da uno specialista all'altro, spesso sentendosi prescrivere solo degli psicofarmaci. Una signora francese conosciuta tramite Internet mi ha raccontato di avere faticato molto per avere una diagnosi corretta e di essersi addirittura sentita dire da uno psicologo: "Guardi dentro di sé e cerchi di scoprire quello che i Suoi occhi non vogliono vedere: conoscerà la causa della Sua malattia e guarirà".
A me fortunatamente "amenità" del genere sono state risparmiate.

Avrei solo un piccolo appunto da fare: quando si parla della tossina al paziente lo specialista che indirizza nei centri distonia o di neuroftalmologia dovrebbe precisare che non si tratta di una cura miracolosa che ci riporta come nuovi. Il paziente viene indotto a credere, o dà per scontato, perché non gli viene detto il contrario, che facendo questo trattamento sarà libero da sintomi per almeno tre mesi. Sappiamo tutti che così non è: ci si ritrova poi alla prima infiltrazione con grandi aspettative e solo allora ci viene spiegato che la tossina non è la bacchetta magica, con conseguente impatto psicologico non indifferente.
Questo è avvenuto per me e per tante persone con cui ho avuto modo di scambiare esperienze.

Anche sugli effetti della tossina c'è spesso una divergenza di opinione tra medico e paziente. Per il medico, anche un effetto modesto è comunque un risultato, mentre il paziente dentro di sé spera sempre di tornare come prima, anche se magari a livello razionale gli sembra di avere accettato l'idea che la tossina non faccia miracoli. Bisogna quindi aggiustare un po' il tiro: noi pazienti dobbiamo accettare il fatto che il risultato possa essere inferiore alle nostre aspettative; i medici magari possono sforzarsi di capire un po' di più la nostra delusione se gli effetti non sono proprio quelli che speravamo.

In particolare, a loro chiediamo che ci ascoltino senza pregiudizi ed ogni tanto facciano uno sforzo per immedesimarsi nei nostri problemi. Una piccola parola di incoraggiamento, quando i risultati non sono proprio ottimali, può avere di per sé un effetto terapeutico.

Vorrei concludere con un racconto tratto dalla saggezza popolare dell'India, un paese che mi è molto caro.

Un portatore d'acqua aveva due grosse anfore appese alle estremità di un bastone che portava sulle spalle.
Una delle due aveva una crepa e, mentre l'altra anfora alla fine del lungo cammino dal ruscello alla casa del padrone portava un carico intatto di acqua, l'anfora incrinata arrivava mezza vuota.
Per due anni il portatore d'acqua continuò ogni giorno a compiere il suo cammino dal ruscello alla casa del padrone consegnando un'anfora e mezza d'acqua.
Naturalmente l'anfora perfetta era orgogliosa dei propri risultati perché adempiva agli scopi per cui era stata modellata. Ma la povera anfora incrinata si vergognava della sua imperfezione e si sentiva inadeguata perché riusciva a compiere solo metà del lavoro.

Dopo due anni trovò il coraggio di parlare al portatore d'acqua mentre erano presso il ruscello.
"Mi vergogno di me stessa e voglio scusarmi con te". "Perché", chiese il portatore "Di che cosa di vergogni?". - "Durante gli ultimi due anni sono riuscita a portare solo la metà del mio contenuto perché la crepa sul mio fianco fa sì che l'acqua sgoccioli per la strada fino alla casa del padrone. A causa del mio difetto tu devi lavorare di più e non vieni ricompensato per i tuoi sforzi" disse l'anfora.

Il portatore d'acqua provò pena per lei e le disse: "Mentre torniamo alla casa del padrone vorrei che tu guardassi i fiori lungo il sentiero".
E, mentre risalivano la collina, la vecchia anfora scheggiata notò il sole che illuminava i variopinti fiori di campo a lato del sentiero, e questa visione la rallegrò.
Ma alla fine del percorso si sentiva ancora demoralizzata, perché di nuovo aveva perso metà del suo contenuto, e di nuovo si scusò con il portatore.

Egli disse all'anfora: " Hai notato che i fiori erano solo dalla tua parte del sentiero? Questo succede perché io ho sempre saputo del tuo difetto ed ho cercato di trarne vantaggio. Ho piantato dei semi dalla tua parte del sentiero, ed ogni giorno mentre ritornavamo dal ruscello tu li hai innaffiati. Per due anni io ho raccolto questi fiori per adornare la mensa del mio padrone. Senza il tuo difetto, il padrone non avrebbe avuto tanta bellezza per rallegrare la sua casa."

Amo molto questo racconto perché a volte io mi sento un po' come l'anfora incrinata.
Se guardo le altre anfore, sento la mia inadeguatezza perché, per quanto mi impegni, parte dei miei sforzi vanno comunque persi per via; ma se guardo "dall'altra parte del sentiero", trovo che il blefarospasmo mi ha in qualche modo aperto gli occhi, mi si perdoni il gioco di parole.

Mi ha aperto gli occhi di fronte alla sofferenza degli altri: prima di tutto a quella di chi vive la mia stessa malattia, perché ovviamente è quella che posso più facilmente capire e condividere, ma anche di altre persone che vivono situazioni di handicap o di malattie rare, con cui ora posso rapportarmi in modo più sincero e a cui posso tendere una mano senza la presunzione della persona sana.
E allora mi dico che, tutto sommato, anche da questa piccola crepa potrà nascere qualche cosa di buono.


Anna Moiana
Pavia, 29 maggio 1999
Pagina aggiornata il 2 Maggio 2001


A.R.D. Associazione Italiana per la Ricerca sulla Distonia - C.F. 97085660583
Associazione di Promozione Sociale senza fini di lucro per promuovere la conoscenza della distonia e favorire l'assistenza ai malati
secondo quanto previsto dalla legge 383/2000 sulle Attività di Promozione Sociale.
Per informazioni sulla malattia o casi specifici scrivere a: email
Contenuti a cura di: A.R.D. | Manutenzione tecnica a cura di: Daniele Fontani email | Tutela della Privacy | Informativa cookies